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Tares: nuovi criteri per le tariffe

L'annunciata riforma del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, prevista dall'art. 1 del Dl 54/2013 entro il 31 agosto 2013, si è per ora limitata ad alcuni aggiustamenti che lasciano in piedi l'originario impianto del tributo, in attesa della prossima venuta della "service tax".

L'art. 5 del Dl 102/2013, in attesa di conversione, ha reso meno rigidi i criteri di determinazione delle tariffe del tributo previsti dalla versione iniziale della norma, attribuendo ai comuni la facoltà di applicare la componente del tributo diretta alla copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti ricorrendo all'impiego di criteri differenti da quelli rigidamente disciplinati dall'art. 14 del Dl 201/2011 e dal Dpr 158/1999 (sul cosiddetto metodo normalizzato). Ciò mediante apposita norma regolamentare, da adottarsi entro il nuovo termine di approvazione del bilancio di previsione 2013, stabilito al 30 novembre 2013 dall'art. 8 del medesimo decreto. Il ricorso a tali criteri alternativi è comunque meramente facoltativo, ben potendo gli enti decidere di applicare la Tares ricorrendo integralmente al metodo normalizzato. Va, inoltre, evidenziato che predetta facoltà è limitata al solo anno 2013, ritornando obbligatori i criteri di legge dal 2014 (service tax permettendo).
E' bene comunque precisare che qualsiasi criterio alternativo venga utilizzato dagli enti, esso deve essere ispirato al principio comunitario del "chi inquina paga", come chiarisce la prima parte del comma 1 dell'art. 5. Quest'ultima disposizione attribuisce facoltà di applicare la Tares tenendo conto dei seguenti criteri, specificati dalla lettere da a) a d):

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a) commisurazione delle tariffe sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio;
b) determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti;
c) commisurazione della tariffa tenendo conto altresì dei criteri determinati dal Dpr 158/1999;
d) introduzione di ulteriori riduzioni ed esenzioni, diverse da quelle previste dai commi da 15 a 18 dell'art. 14 del Dl 201/2011. 

La norma pone tuttavia una serie di difficoltà interpretative. In primo luogo, è necessario comprendere se i criteri previsti dal comma 1 dell'art. 5 siano alternativi o debbano essere adottati invece tutti contemporaneamente.

Se si optasse per una lettura alternativa dei criteri indicati dalla norma, gli enti sarebbero liberi di sceglierne uno o più tra quelli previsti, purché ottengano un risultato compatibile con il principio del "chi inquina paga". Così limitandosi solo a quelli riportati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell'art. 5, il comune avrebbe una grande libertà nella commisurazione e nella determinazione delle tariffe del tributo, potendo commisurare le stesse alla sola superficie dei locali, seppure distinguendo in base agli usi ed alla tipologia di attività.

Il calcolo inoltre potrebbe avvenire, distintamente per le diverse tipologie di utenza e per le differenti categorie di attività economiche, in modo semplificato moltiplicando il costo medio a metro quadrato di superficie per uno o più coefficienti di quantità e di qualità specifica di produzione dei rifiuti. La norma ricalca sul punto sia l'art. 14, comma 9, del Dl 201/2011, eliminando però il riferimento obbligatorio per il calcolo delle tariffe al Dpr 158/1999 e sia il criterio di determinazione delle tariffe stabilito nella tarsu dall'art. 65 del Dlgs 507/1993 (adottato dai comuni con più di 35.000 abitanti). In altri termini, il comune che avesse calcolato le tariffe della Tarsu fino al 2012 con il criterio del citato art. 65, potrebbe continuare ad adottare lo stesso criterio anche in regime di Tares, senza che ciò ovviamente comporti una prosecuzione della Tarsu, soppressa dall'1 gennaio 2013 ad opera del comma 46 dell'art. 14 del Dl 201/2011.

La facoltà concessa dalla norma potrebbe quindi apparire una semplificazione, sennonché la maggior parte dei comuni non ha adottato per il calcolo delle tariffe Tarsu fino al 2012 il rigido criterio dell'art. 65 del Dlgs 507/1993, ma bensì gli assai più elastici criteri ante Dlgs 507/1993, come concesso dall'art. 1, comma 7, della L. 26/2001 .

Ne deriva che il ricorso ai nuovi criteri per la determinazione delle tariffe Tares delineati dal Dl 102/2013 risulta assai complicato per la maggior parte degli enti, considerato che gli stessi richiederebbero comunque la definizione di coefficienti quantitativi e qualitativi di produttività dei rifiuti di cui ben pochi enti dispongono e che necessiterebbero di una complessa valutazione tecnica.

In ogni caso l'ente in grado di adottare il nuovo sistema, seguendo la tesi dell'alternatività dei criteri dettati dal Dl 102/2013, sembrerebbe autorizzato ad abbandonare alcuni dei principi cardine del Dpr 158/1999 e dell'art. 14 del Dl 201/2011, quali, ad esempio, la suddivisione della tariffa in quota fissa e quota variabile, l'impiego del numero degli occupanti come parametro per commisurare la quota variabile della tariffa delle utenze domestiche, i rigidi criteri di determinazione dei costi del servizio indicati dal Dpr 158/1999. Pur dovendo, in ogni caso, assicurare la copertura integrale dei costi del servizio, compresi i costi della gestione delle discariche, come rammentato dal comma 3 dell'art. 5 del Dl 102/2013.

Tuttavia, una lettura attenta della norma spinge a ritenere che gli enti che intendano distaccarsi dal sistema delineato dal Dpr 158/1999 debbano necessariamente utilizzare tutti i criteri indicati dalle lettere da a) a d) dell'art. 5, comma 1, del Dl 102/2013. Ciò comporta la necessità di tenere conto "altresì" dei criteri del Dpr 158/1999, come ricordato dalla lettera c) dell'art. 5, comma 1, del Dl 102/2013.

In altri termini, il comune nel commisurare e nel determinare la tariffa secondo il sistema indicato dalle lettere a) e b) del'art. 5 del Dl 102/2013, non può abbandonare i criteri cardine del metodo normalizzato. Ecco quindi che non risulta possibile non tenere conto della definizione dei costi del Dpr 158/1999, della suddivisione della tariffa in quota fissa e variabile (peraltro resa obbligatoria anche dal comma 11 dell'art. 14) e dell'impiego del parametro "numero degli occupanti" nella determinazione della tariffa delle utenze domestiche.

Adottando questa lettura, la norma consentirebbe ai comuni solo un ammorbidimento del metodo normalizzato, pur confermandone il suo impianto. In tale ottica gli enti potrebbero modificare le categorie di attività riportate dal Dpr 158/1999, al limite anche utilizzando le stesse categorie della Tarsu o creando nuove sottocategorie (ad esempio per differenziare all'interno delle diverse categorie di attività le differenti destinazioni d'uso dei locali) e adottare nuovi coefficienti di produttività dei rifiuti, sostituendo i coefficienti Kd e Kc, i quali non devono più necessariamente rispettare i limiti massimi e minimi di legge.

Ovviamente una tale operazione deve sempre seguire il criterio "guida" del rispetto del principio comunitario del "chi inquina paga". Non sarebbe infatti sostenibile l'adozione di coefficienti di produttività dei rifiuti che porti a determinare delle tariffe non ossequiose a tale principio. Appare invece possibile modificare tout cour i coefficienti ministeriali, allo scopo magari di attenuare il rilevante impatto che il passaggio al nuovo tributo determina su particolari categorie di attività, adottando indici che siano il frutto nella combinazione di parametri quantitativi e qualitativi di produttività dei rifiuti, vale a dire che tengano conto non sono della mera quantità di rifiuti assimilati prodotti da ogni singola categoria di attività, ma anche degli oneri necessari per la loro gestione.

In tale modo, categorie con un'elevata produttività di rifiuti a mq potrebbero vedersi mitigati i coefficienti applicati se il costo dei gestione dei rifiuti dalle stesse prodotti avesse un'incidenza inferiore alla media dei costi di gestione dei rifiuti di tutte le categorie. Quando riportato evidenzia che la scelta di distaccarsi dai coefficienti ministeriali, per non essere tacciata di arbitrarietà, non potrà sfuggire all'obbligo di motivazione che, ovviamente, dovrà basarsi su fattori di natura tecnica.

Appare senza dubbio più criptica la previsione, tra i criteri che gli enti devono seguire per adottare la nuova impostazione "alternativa" del tributo, della facoltà di introdurre ulteriori riduzioni ed esenzioni diverse da quelle di cui ai commi da 15 a 18 dell'art. 14 del Dl 201/2011. Per la verità si tratta di una facoltà non nuova ma già contenuta nel comma 19 dell'art. 14 del Dl 201/2011, il quale viene tuttavia abrogato dal successivo comma 2 dell'art. 5, determinando il venire meno dell'obbligo di finanziare tali riduzioni o esenzioni con risorse diverse dal tributo di competenza del'esercizio.

La citata previsione trovava il suo fondamento nella natura economico-sociale delle riduzioni/esenzioni e quindi nell'assenza di un carattere tecnico che avrebbe giustificato invece l'inserimento del costo della riduzione medesima nell'ambito del piano finanziario, trattandosi del riconoscimento di un beneficio in favore di situazioni che si caratterizzano per una minor produttività di rifiuti. L'inserimento della facoltà di concedere ulteriori riduzioni ed esenzioni nella lettera d) del comma 1 fa insorgere il dubbio se la medesima sia riservata ora solo ai comuni che adottino i criteri alternativi di determinazione della tares previsti dal Dl 102/2013 oppure se, comunque, sia una facoltà esercitabile da tutti i comuni, compresi quelli che utilizzino il metodo normalizzato classico. Probabilmente la logica del legislatore è quella di dotare l'ente che intenda distaccarsi dal metodo normalizzato di un ulteriore strumento per mitigarne la rigidità, determinante rilevanti incrementi del prelievo per alcune categorie di soggetti, mediante la previsione di ulteriori riduzioni o esenzioni ad hoc in loro favore ed eliminando l'obbligo di specifica copertura del loro costo con il bilancio. Motivazioni di ordine sistematico fanno ritenere che la facoltà di prevedere ulteriori riduzioni ed esenzioni competa a tutti gli enti. Ciò anche per ovviare ad una possibile disparità di trattamento rispetto a quei comuni che, avendo già approvato il regolamento prima dell'entrata in vigore del 102/2013, potrebbero mantenere invece le riduzioni/esenzioni già adottate. In merito alla copertura del relativo costo, si ritiene che la norma, pur eliminando l'obbligo di specifico finanziamento con le risorse del bilancio, non comporti necessariamente il suo inserimento nel piano finanziario della Tares. Anche perché una simile operazione deve essere attentamente valutata alla luce dell'evidente confitto con il principio del "chi inquina paga" che si avrebbe ove venisse addossato agli altri utenti il costo delle riduzioni di cui beneficiano solo alcune categorie di soggetti, scelti sulla base di fattori economici e sociali e non prettamente tecnici legati alla minore produttività di rifiuti. Qualche dubbio comunque potrebbe venire ricordando che il comma 3 dell'art. 5 del Dl 102/2013 ricorda che "in ogni caso" deve essere assicurata la copertura integrale dei costi.

Si deve, inoltre, ritenere che la nuova collocazione della predetta facoltà agevolativa non più nel comma 19 dell'art. 14 ma nel comma 1, lett. d, dell'art. 5 del Dl 102/2013, comporti l'irrilevanza delle ulteriori riduzioni/esenzioni comunali sul calcolo della maggiorazione ex art. 14, comma 13, del Dl 201/2011, spettante allo Stato per il 2013 (art. 10 Dl 35/2013). Ciò perché il comma 21 dell'art. 14 citato limita l'applicabilità delle riduzioni sulla maggiorazione solo per quelle previste dai commi da 15 a 20 del medesimo articolo.

Infine, va rilevato che la facoltà di introdurre nuove riduzioni/esenzioni è limitata al solo anno 2013, come specificato dal comma 1 dell'art. 5. Tuttavia, dal 2014, resta sempre la possibilità di introdurre altre agevolazioni avvalendosi della potestà regolamentare generale stabilita dal'art. 52 del Dlgs 446/1997, con esclusione però delle esenzioni.
In definitiva, la disposizione dell'art. 5 del Dl 102/2013, seppure non del tutto chiara nella sua formulazione e necessitante di auspicati chiarimenti in sede di conversione in legge, ha il pregio di consentire una certa elasticità agli enti nella determinazione delle tariffe della Tares, mitigando gli aspetti più problematici legati all'utilizzo del metodo normalizzato.

di Stefano Baldoni - Responsabile area economico-finanziaria Comune di Corciano (Pg) – Membro Osservatorio tecnico Anutel

Articolo tratto dal numero di ottobre della rivista "Diritto e pratica amministrativa"


News inserita il 28/10/2013 alle 08:11

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