Il riformato Codice dell’Amministrazione Digitale, da poco in vigore, prevede tra le innovazioni principali quella del domicilio digitale… o, dovremmo dire, l’istituzione di un domicilio digitale funzionante visto che quello da tempo inserito nel CAD era rimasto lettera morta. Il domicilio digitale è, per chi ancora non avesse familiarità con le nuove norme, un indirizzo di PEC o equivalente (servizi di recapito certificato) da dichiarare alla Pubblica Amministrazione tramite il proprio comune di residenza affinché venga inserito in anagrafe, in particolare nella nuova Anagrafe Nazionale online (ANPR). E’ chiara la logica della disposizione, meno chiara è l’attuazione. Un primo elemento da capire riguarda la procedura con la quale si potrà dichiarare il domicilio digitale al proprio Comune. |
Non è formalmente indicata tra i contenuti del decreto ma non è nemmeno indicata altrove e una procedura che incide sull’Anagrafe Nazionale deve certamente essere predisposta con atto statale.
Sarà pertanto una procedura uguale per tutti i Comuni e laddove non attuata ci si potrà rivolgere al dirigente del Comune (o all’Assessore) delegato per l’attuazione dell’agenda digitale lamentandone l’assenza.
Nelle more è già certo che almeno una attuazione parziale del nuovo domicilio digitale avrà luogo.
Il nuovo CAD infatti assegna d’ufficio un domicilio digitale a tutti i professionisti i cui indirizzi PEC sono – come per legge – presenti nell’indice INI-PEC, l’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata e dunque vi sarà una prima platea di utenti “necessari” che troveranno – forse con non eccessivo entusiasmo - le PEC che attualmente usano per comunicazioni tra la propria clientela e soggetti istituzionali/imprese convertite a domicilio digitale personale.
Tale conversione forzata sarà in tanto digerita in quanto consentirà di risparmiare tempo e denaro speso per recarsi presso uffici pubblici per comunicazioni e notifiche.
Occorre allora comprendere se effettivamente il domicilio digitale sarà il canale esclusivo di comunicazione che le Pubbliche Amministrazioni ed enti pubblici dovranno utilizzare o se rimarrà anche stavolta “sulla carta” (cosa che sarebbe paradossale per un istituto che la carta dovrebbe far sparire).
L’analisi della norma fa prevedere che vi sarà potenzialmente una riduzione delle comunicazioni cartacee ma che non spariranno del tutto né le comunicazioni, né le notifiche cartacee.
Questo perché non è prevista in alcuna parte del CAD (o altrove) la nullità della notifica o comunicazione inviata per strumenti tradizionali al titolare di domicilio digitale.
Quali allora le conseguenze del mancato invio di una comunicazione o notifica al domicilio digitale?
Probabilmente il cittadino che non riceva una notifica o comunicazione sul domicilio digitale e, per qualche motivo, non riceva (es. perché non ritirata la raccomandata) nemmeno quella cartacea, potrà eccepire – ma dovrà essere lui a farlo – che l’indirizzo di comunicazione/notifica doveva essere quello del domicilio digitale.
Se invece la notifica o comunicazione cartacea raggiunge il suo destinatario sembra doversi applicare il noto principio di conservazione dell’atto, assieme al principio per cui la notifica o comunicazione che raggiunge il suo scopo non è sindacabile.
Questo limitato effetto di nullità del domicilio digitale può anche tranquillizzare coloro che paventano effetti devastanti per persone anziane e con poca dimestichezza tecnologica.
Sembra cioè probabile che il domicilio digitale procurerà un certo vantaggio a coloro che intendano effettivamente servirsene riducendo l’invio di carta da parte della PA ma la carta ci accompagnerà ancora e sparirà senza brusche cesure e solo con la progressiva conversione della popolazione al domicilio digitale.
Fonte: agendadigitale
News inserita il 05/11/2016 alle 09:31